E’ spinosa la questione legata alla mancata nomina da parte del governo del Commissario ad acta per quanto concerne la sanità regionale. Sono ormai diverse settimane che siamo costretti ad assistere ad una sorta di braccio di ferro tra il Presidente Toma ed i “portavoce” (così si definiscono) che rappresentano il M5S in Regione e a Roma. Il Presidente, che può contare sull’appoggio totale dei colleghi in Conferenza Stato-Regioni e di un documento a suo sostegno sottoscritto dal Consiglio Regionale, rivendica in maniera del tutto legittima che l’incarico sia affidato a lui (a costo zero); i “portavoce”, forti del rapporto di affinità politica che li lega al Ministro Giulia Grillo, sostengono invece che l’incarico vada affidato ad un “esterno”, una figura terza di nomina ministeriale, che sia esso di Bolzano o di Trapani non ha alcuna importanza. L’unica cosa che conta è che sia un tecnico, un ragioniere, una fredda macchina che, sforbiciando qua e là, possa finalmente far quadrare i disastrati conti del nostro comparto sanitario. Ed ecco il primo buco nell’acqua: se c’è uno che ha dimestichezza con numeri, bilanci, tabelle ed entrate/uscite questo è il Presidente Toma che, se qualcuno lo ha dimenticato o finge di farlo, di professione fa il revisore dei conti; e a testimonianza del fatto che i numeri non hanno connotazione politica, è stato chiamato prima a ricoprire l’incarico di Assessore al Bilancio dal comune di Campobasso (centrodestra) poi quello di Revisore dei Conti dal comune di Bojano (centrosinistra) e da altri centri in tutti i casi svolgendo il suo non facile compito con professionalità e senza condizionamenti di alcun genere. Nulla dunque si può eccepire sulla sua specifica competenza. Secondo aspetto: può un gelido ragioniere di Bolzano o di Trapani avere la stessa conoscenza delle peculiarità specifiche di un determinato ambito sociale e territoriale a lui completamente avulso? No, non può.
La ha, invece, questa competenza, chi come il Presidente Toma vive e svolge la sua professione in Molise e soprattutto frequenta le realtà sanitarie regionali e in esse si cura. Ha interesse quindi come ciascuno di noi, cittadini molisani, a tentare di rimediare nel più breve tempo possibile ai disastri generati dalle precedenti amministrazioni per dare alla comunità la possibilità di usufruire di servizi sanitari quantomeno dignitosi. Conoscere la realtà in cui si andrà ad operare è di fondamentale importanza: la questione sanità non deve essere considerata a se stante, non la si può valutare (e di conseguenza risolvere) senza tener presente il contesto generale. I provvedimenti da prendere vanno connessi con estremo raziocinio a quelle che sono le condizioni di vita, l’aspetto demografico, la natalità, l’invecchiamento della popolazione, lo spopolamento delle aree interne, le patologie proprie di un determinato territorio. E non possono non essere associati alla situazione (disastrosa) delle infrastrutture e della viabilità. E chi meglio del Presidente della Regione può lavorare tenendo presente i due aspetti e conciliare le esigenze che inevitabilmente li legano? Lo sa un freddo burocrate che viene da lontano che per “scendere” da tanti piccoli centri fra poco sarà necessario dotarsi di deltaplano? Lo sa che prima di percorrere la Trignina è bene stipulare una polizza-vita? Cosa ne sa del dissesto idrogeologico che devasta il Molise? Il terzo aspetto non è di minore importanza ed è di carattere squisitamente politico: i suddetti si definiscono “portavoce”; si suppone portavoce dei cittadini. Ebbene, quando gli elettori molisani hanno deciso di affidarsi a Donato Toma, vista la legge vigente, erano pienamente consapevoli del fatto che il bilancio della Regione Molise è costituito all’80% dal comparto sanitario. Hanno quindi democraticamente deciso di affidare a lui il compito di affrontare i tanti problemi della Regione, in primis la questione sanità, e non agli altri candidati.
I “portavoce”, che a Roma tanto si indignano per le ingerenze esterne sulle questioni nazionali (si veda il difficile rapporto con le istituzioni europee sul DEF), richiedono a gran voce invece per le questioni locali proprio un intervento “esterno”. Una domanda a questo punto è necessaria rivolgerla ai “portavoce”: ma se le elezioni regionali le avesse vinte il loro candidato-Presidente, avrebbero agito allo stesso modo chiedendo al governo amico di esautorarlo ed affidare il ruolo di commissario a un “esterno”?